TOGLIERSI IL PESO DEL TRASFERIMENTO DEL PESO

3 Gennaio 2024 0 Di Stefano Ricchiuti

Come dovrei trasferire il peso durante il downswing?

Davvero troppo sovente i giocatori sono soliti chiedersi quale sia il modo più corretto per trasferire il peso sul lato sinistro del corpo nel corso del downswing.

Talvolta questo tipo di ricerca diventa così preponderante rispetto a tutto il resto della tecnica, da assumere quasi la forma di un’ossessione.
Tuttavia, dato che condividiamo insieme questo importante spazio, potrebbe essere questa una bella occasione per sgombrare una volta per tutte la mente da una certa confusione generale, o da quei suggerimenti estemporanei raffazzonati un po’ ovunque.

Usiamo l’istinto.

Il primo aspetto su cui mettere l’accento – anche se ciò potrebbe apparire un po’ pleonastico – è il fatto che questo gesto è tanto più funzionale quanto più è istintivo e non pensato, affidato ovvero alla naturale azione dinamica del corpo.
Di fatto, lavorare sul trasferimento del peso nel corso della discesa è un processo molto delicato, che tendenzialmente dovrebbe essere intrapreso solo se monitorato dall’occhio vigile di un tecnico esperto.

Ipotizziamo comunque insieme una situazione classica, e cerchiamo di capire cosa dovrebbe accadere nel corso delle varie fasi dello swing:

il giocatore si trova inizialmente nella sua consueta posizione di address, impugna ad esempio un ferro medio, e ha il peso equamente distribuito su entrambi i piedi.
Raggiunto l’apice del backswing, in una condizione ottimale, il corpo ha ruotato su se stesso senza compiere movimenti laterali, eccezion fatta per la parte alta del busto che si è caricata appena dietro a palla, portando il peso del giocatore a gravare all’incirca al 65% verso l’interno del tallone destro.
E ora arriva il momento dell’inversione: mentre le braccia si abbassano, il fianco compie contemporaneamente due movimenti, ovvero sia una rotazione antioraria, ma anche una vera e propria traslazione verso l’obiettivo. Mentre ciò avviene, tuttavia, la testa del giocatore non avanza in alcun modo verso il bersaglio, ma rimane nella medesima posizione assunta all’apice del backswing, talvolta inclinandosi ancora di più all’indietro. [1]

In questo modo il peso del golfista all’impatto verrà trasferito in buona parte sulla gamba e sul piede sinistro, che da questo momento in avanti fungeranno da perno e consentiranno a tutto il corpo di srotolarsi verso il target. [2]

Si tratta, come detto, di un’azione abbastanza complessa, poiché è da compiersi con un’opportuna velocità e sempre in sinergia con il lavoro delle braccia. Nondimeno essa può essere costruita proprio attraverso l’utilizzo di alcuni esercizi specifici, che incentivino questo aspetto tecnico del movimento senza andare a precludere una sensazione di spontaneità generale.

[1] https://youtu.be/KJIcGvAhUV8?si=CdcKiEWoV8Tg4hec
[2] https://youtu.be/MaR14Dru9i4?si=OgFrF6ObSU7hKtRy

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Autore

  • Stefano Ricchiuti

    Ricordo che quando ero bambino irridevo chi si dedicava al gioco del golf, così per come lo potevo osservare in televisione in quelle prime e rarissime trasmissioni condotte dai veri precursori mediatici del nostro sport in Italia. Poi passò qualche anno e, rivedendo casualmente quegli strani movimenti sul piccolo schermo, improvvisamente, così, dal nulla, rimasi folgorato. Più che di un colpo di fulmine si trattò di un vero e proprio colpo di golf, o perlomeno di alcune mie prime fantasie a riguardo, di me che ad esempio tiravo un ferro medio dal centro di un qualche fairway, producendo una palla con un leggero fade che poi atterrava dolcemente sul green, sparendo in quella lontana buca segnalata dall’asta e dal garrire del suo drappo purpureo. Non ho mai giocato a golf per hobby, questo va detto: da quel fatidico giorno decisi che avrei voluto diventare un professionista, e che mi sarei allenato anche fino allo sfinimento per riuscirci. Il caso ha voluto che il quarto e ultimo giorno della famigerata prova per essere ammessi alla Scuola Nazionale Professionisti ritrovai nel mio terzetto proprio il mitico Andrea Benassi, ragazzo che ai tempi conoscevo molto poco. Quel giorno, ricordo, non c’era molto tempo per sorridere, proprio poiché la tensione e la posta in palio si davano da fare per divorare la tempra dei vari giocatori. Eppure, dopo anni, eccoci qui! Per ciò che riguarda la mia carriera da professionista e da insegnante mi verrebbe per prima cosa da ringraziare le infinite e belle persone che ho incontrato lungo il mio percorso di crescita. Il fatto è che l’elenco sarebbe davvero troppo lungo, e il rischio di dimenticarne qualcuna troppo grosso. Personalmente cerco comunque sempre di farlo in privato, poiché doveroso. Su di me posso ancora dire di aver scritto tre libri sulla tecnica e sull’aspetto mentale del golf, avendo la fortuna di essere stato pubblicato in due occasioni dalla casa editrice di sport più importante in Italia. Con tutti e tre i manuali ho potuto raggiungere il primo posto in classifica tra i 100 bestseller di settore su Amazon, e per uno di essi (ovvero per: “I 50 migliori esercizi per un grande golf”) ho ricevuto la menzione speciale da parte del CONI, del Presidente Malagò e del Presidente della FIG Franco Chimenti, evento che in settant’anni non era mai accaduto a un testo sul golf ed onore che in passato aveva riguardato protagonisti e penne famose del giornalismo, come quelle di Faustino Coppi e di Gianni Clerici. Sono stato opinionista e ospite in alcune trasmissioni televisive e radiofoniche, ho gestito per tre anni un campo in Piemonte, e nel corso della mia carriera ho aiutato più di un allievo nel proprio percorso di passaggio al professionismo. Ritengo da sempre questo sport come una scuola di vita: la più frustrante ma magnifica esperienza che si possa provare.

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