LA BELLEZZA DELLA DIVERSITÀ!
Diversità: uno swing diverso per ognuno di noi!
Diversità non significa sempre errore, diversità nello swing significa unicità spesso e volentieri. Seppur possa esistere una forma ideale di swing dalla quale ognuno di noi può trarre ispirazione, è innegabile che l’analisi del movimento dei differenti professionisti del Tour mostri talvolta delle discrepanze da un modello universalmente riconosciuto.
Certamente i punti più importanti dello swing sono sempre rispettati dai grandi giocatori ma in alcune fasi, taluni di essi, hanno prodotto delle personalizzazioni o delle compensazioni che gli hanno consentito di giocare altrettanto bene, se non addirittura meglio.
Apprendere ed adattare ottimizzando lo swing al proprio corpo e alle proprie abitudini.
Si tratta generalmente di abitudini acquisite nell’infanzia e nei primi approcci col gioco, di modifiche legate alla propria struttura fisica, oppure di movimenti che sono stati inseriti istintivamente e senza alcun motivo particolare, ma che il tempo ha dimostrato essere funzionali.
Diversità dello swing aggiunge fascino al golf.
D’altronde siamo tutti diversi e non c’è niente di male in questo. Anzi, proprio tali personalizzazioni rendono il golf un qualcosa di ancora più affascinante ed estroso, che evita di renderci simili a degli automi tutti uguali gli uni agli altri. Ciò premesso è tuttavia importante ribadire che talune azioni del bastone o del corpo sono sempre da mettersi al bando in quanto, per taluni gesti, più ci si distanzia da un modello didatticamente corretto e più sarà difficile essere ripetitivi al momento dell’impatto. Inoltre, tali peculiarità sono maggiormente accettabili e legittime in giocatori talentuosi e che praticano molto (e che dunque sanno riconoscere l’utilità di certe modifiche) oppure in quelli che, come accennato, sono costretti ad eseguire un movimento diverso a causa ad esempio di una ridotta mobilità articolare. In tutti gli altri casi, invece, un modello di riferimento può rimanere costante, e le possibili personalizzazioni dello swing altro non sono che errori su cui lavorare e da dover eliminare.
Non confondiamo l’errore con la personalizzazione.
A ben pensarci oggi la diffusione della tecnica del golf, dei suoi concetti fondamentali e dei suoi segreti ha assunto una proporzione tale da far sì che la conoscenza del gesto sia veramente alla portata di ognuno: libri, dvd, siti internet, riviste, analisi degli swing con telecamere ad alta velocità, launch monitor, studi della fisica e chi più ne ha più ne metta. Se da un lato questa conoscenza sdoganata rappresenta in parte una chimera poiché, come in ogni campo della vita e del lavoro, solo i reali esperti del settore sanno veramente dove intervenire, dall’altro essa ha contribuito a sfatare un mito che aleggiava da tempo tra allievi ed insegnanti di golf, tra addetti ai lavori e non: ovvero quello secondo il quale possa esistere un solo modo di eseguire lo swing corretto.
Lo swing è unico!
Chiunque sia oggi solo moderatamente appassionato di questo sport avrà potuto notare come, dall’analisi di riviste e video, non esistano al mondo due soli golfisti di caratura mondiale che facciano lo swing esattamente alla stessa maniera. Possono essere magari molto simili, ma non saranno certamente mai uguali. Anzi, è quasi vero il contrario: se prendessimo in esame i primi dieci giocatori al mondo del momento, noteremmo forse più differenze che somiglianze. Ricordate infatti che i principi corretti a cui uno swing che si rispetti deve far capo sono solo poco più che una decina e che, a parte questi, ogni swing al mondo riflette in sé un naturale ed auspicabile grado di soggettività.
“Vale anche per gli insegnanti”
Questo peraltro non accade solamente nei giocatori, ma anche tra gli insegnanti: storicamente possiamo citare l’esempio di un grande maestro qual era Bob Toski, il cui lavoro si basava sul concetto per il quale il corpo è alle dipendenze del movimento di mani e braccia, tesi ad esempio in netta contraddizione con quella di David Leadbetter, secondo il quale: “E’ il cane che dimena la coda, e non la coda che dimena il cane.”
Come vedete, per quanto la conoscenza della tecnica possa progredire, esisteranno sempre delle zone d’ombra in seno alla vera natura dello swing.
Solo una cosa è invece certa: qualunque colpo di golf tirato al mondo risente di solo cinque fattori fondamentali che ne regolano il risultato finale.
E questi sono:
- La velocità della testa del bastone (all’impatto);
- Il punto di contatto (con la pallina);
- L’angolo d’attacco (del bastone verso il terreno);
- La traiettoria della testa del bastone (nei pressi dell’area di impatto);
- La posizione della faccia del bastone (al momento del contatto con la pallina).
Ogni metodo di insegnamento dovrebbe quindi tendere non alla ricerca di un ideale – peraltro irrealizzabile – di swing, ma piuttosto al miglioramento dei dieci principi fondamentali di cui si accennava sopra, i quali interverranno direttamente sulla qualità dei cinque fattori fondamentali legati al modo di impattare la pallina, l’unica cosa che davvero conta.
Per dirla infatti con le parole di Butch Harmon: “Non mi interessa l’aspetto di uno swing, purché generi dei bei colpi.”
Bibliografia:
– Bob Toski e Davis Love Jr.: “Come sentire il vero swing”, Leonardo International,
2003
– David Leadbetter: “Golf Swing”, Golf News Editore, 1991
– Michael Hebron: “See and feel the insidie move the outside”, Smithtown Landing
ed. 2007
– Stefano Ricchiuti: “La tecnica del golf moderno”, Carabà, 2016
– www.stefanoricchiuti.it
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Ricordo che quando ero bambino irridevo chi si dedicava al gioco del golf, così per come lo potevo osservare in televisione in quelle prime e rarissime trasmissioni condotte dai veri precursori mediatici del nostro sport in Italia. Poi passò qualche anno e, rivedendo casualmente quegli strani movimenti sul piccolo schermo, improvvisamente, così, dal nulla, rimasi folgorato. Più che di un colpo di fulmine si trattò di un vero e proprio colpo di golf, o perlomeno di alcune mie prime fantasie a riguardo, di me che ad esempio tiravo un ferro medio dal centro di un qualche fairway, producendo una palla con un leggero fade che poi atterrava dolcemente sul green, sparendo in quella lontana buca segnalata dall’asta e dal garrire del suo drappo purpureo. Non ho mai giocato a golf per hobby, questo va detto: da quel fatidico giorno decisi che avrei voluto diventare un professionista, e che mi sarei allenato anche fino allo sfinimento per riuscirci. Il caso ha voluto che il quarto e ultimo giorno della famigerata prova per essere ammessi alla Scuola Nazionale Professionisti ritrovai nel mio terzetto proprio il mitico Andrea Benassi, ragazzo che ai tempi conoscevo molto poco. Quel giorno, ricordo, non c’era molto tempo per sorridere, proprio poiché la tensione e la posta in palio si davano da fare per divorare la tempra dei vari giocatori. Eppure, dopo anni, eccoci qui! Per ciò che riguarda la mia carriera da professionista e da insegnante mi verrebbe per prima cosa da ringraziare le infinite e belle persone che ho incontrato lungo il mio percorso di crescita. Il fatto è che l’elenco sarebbe davvero troppo lungo, e il rischio di dimenticarne qualcuna troppo grosso. Personalmente cerco comunque sempre di farlo in privato, poiché doveroso. Su di me posso ancora dire di aver scritto tre libri sulla tecnica e sull’aspetto mentale del golf, avendo la fortuna di essere stato pubblicato in due occasioni dalla casa editrice di sport più importante in Italia. Con tutti e tre i manuali ho potuto raggiungere il primo posto in classifica tra i 100 bestseller di settore su Amazon, e per uno di essi (ovvero per: “I 50 migliori esercizi per un grande golf”) ho ricevuto la menzione speciale da parte del CONI, del Presidente Malagò e del Presidente della FIG Franco Chimenti, evento che in settant’anni non era mai accaduto a un testo sul golf ed onore che in passato aveva riguardato protagonisti e penne famose del giornalismo, come quelle di Faustino Coppi e di Gianni Clerici. Sono stato opinionista e ospite in alcune trasmissioni televisive e radiofoniche, ho gestito per tre anni un campo in Piemonte, e nel corso della mia carriera ho aiutato più di un allievo nel proprio percorso di passaggio al professionismo. Ritengo da sempre questo sport come una scuola di vita: la più frustrante ma magnifica esperienza che si possa provare.
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